I tarocchi compaiono tra il 12esimo e il 13esimo secolo, ad opera di zingari e templari (una delle tante tesi sostiene che furono introdotti in Europa dai crociati, e che fossero di origine saracena). Per secoli però la loro origine rimase sconosciuta, e nessuno provò a mettere per iscritto uno studio serio e scientifico.
Il primo tentativo in tal senso fu quello di Court de Gebelin, nel 1781, il quale ci vide racchiusa la saggezza e i misteri degli egizi. Lo studioso lo deduceva – tra le altre cose – dalla ricorrenza del numero 7, caro agli egizi (escluso lo zero, le carte sono 77, gli arcani minori sono 14 per ciascun seme – quindi 2 per 7 – e gli arcani maggiori sono 21, ovvero 3 per 7) nonché la corrispondenza dei 4 semi con l’ordinamento politico della società. Questa tesi, di recente, è stata suffragata della corrispondenza ravvisata da alcuni studiosi, tra i simboli contenuti nei tarocchi e quelli contenuti nella cosidetta “Mensa Isiaca” o tavola Brembina, custodita al museo egizio di Torino, risalente al primo secolo d.c e raffigurante simboli egizi.
Successivamente, più o meno nello stesso periodo, Jean Francoise Alliette, in arte Etteila, confermò l’origine egizia dei tarocchi ma affermò anche che, nei secoli, essi erano stati parzialmente modificati ed erano arrivati fino a noi in forma distorta rispetto agli originali; provvide quindi a farne un nuovo mazzo, rispetto a quelli in circolazione, che prese il nome di Tarocco di Thot, o tarocchi di Etteilla, a seconda delle versioni. Questo mazzo, molto bello anche se molto differente da quelli tradizionali, è acquistabile anche oggi.
Poco tempo dopo l’occultista Eliphas Levi, a metà del 1800, affermò che le origini dei tarocchi risalivano alla cabala, e quindi alla tradizione ebraica. Molti i punti di contatto con la Cabala, secondo questo studioso: dal numero degli arcani maggiori, che richiamano le 22 lettere dell’alfabeto ebraico e della Sephirot dell’albero della vita, ai significati delle carte, spesso sovrapponibili al significato delle varie lettere.
Da questo momento gli studi sui tarocchi cominciano a fiorire, ed emergono nuove interpretazioni e nuovi tentativi.
Gerard Encausse, in arte Papus, affermò che essi furono diffusi dagli zingari. D’altronde tale opinione era in linea con quella di Court de Gebelin, secondo cui gli zingari erano egiziani sconfinati in Europa.Arthur Edward Waite, il fondatore dell’Ordine della Rosa Rossa e della croce d’Oro, facendo una sintesi di tutti gli studi precedenti, vide nei tarocchi una dottrina sacra, in cui identificò elementi di alchimia, di Cabala, e dottrine rosacrociane, e affermò che essi erano una sintesi della tradizione massonica.
In epoca più recente abbiamo studi che collegano i tarocchi ai templari. I loro simboli, in quanto “monaci guerrieri”, sono infatti la coppa (il graal), la spada del guerriero, il bastone del pellegrino, e i denari (ricordiamo che il moderno sistema economico e bancario fu, in sostanza, un’invenzione dei templari, i quali sono considerati i primi veri banchieri nel mondo).
Non mancano, però, autori che affermano le origini sufiche (quindi in seno all’Islam) di queste carte. Così ad esempio Jonh Blakeley, nel suo libro “La torre mistica dei tarocchi”, che si rifà agli scritti del famoso studioso Idries Shah, il quale afferma che i tarocchi nascono in ambiente sufi, e vengono poi diffusi in Europa con figure e simbolismo in parte alterato. Secondo Marianne Costa, l’origine islamica dei tarocchi è evidente dal fatto che gli arcani maggiori, pur essendo l’evidente rappresentazione di un percorso spirituale, non mostrano mai Dio; ed è il Corano che, in effetti, proibisce di rappresentarlo, ma non di scriverne il nome. E il nome di Dio sarebbe iscritto, in forma velata, nella nuvole della carta del giudizio.
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